venerdì 29 marzo 2013

CRISI DI INSOLVENZA E DI LIQUIDITA’: COME E PERCHE’ FALLISCONO LE BANCHE


Il recente caso di Cipro ha riacceso l’interesse intorno al mondo bancario e ai suoi complicati meccanismi interni. In particolare, suscita sempre qualche perplessità e apprensione fra la gente il modo e la rapidità in cui le banche falliscono, dato che nel nostro immaginario le banche vengono identificate come giganteschi mostri “infallibili (dai piedi d’argilla aggiungo io, visto il modo in cui è organizzato oggi il sistema monetario nel suo complesso), capaci di divorare e ingoiare tutto il resto, compresa la cosiddetta “economia reale”. Siccome Cipro è l’ultimo caso di un paese piccolo, con un’economia ridotta e poco sviluppata ad essere stato messo in ginocchio da un settore bancario sovradimensionato (preceduto in ordine di tempo da Islanda e Irlanda), mi sembrava opportuno approfondire un po’ l’argomento, facendo degli esempi molto chiari e delle simulazioni semplificate. Il materiale divulgativo utilizzato può essere reperito in lingua originale sul sito Positive Money e in un articolo pubblicato su Economonitor.     

In generale possiamo anticipare che esistono due principali casistiche di crisi bancaria, le quali partendo da diverse premesse possono ugualmente portare una banca al fallimento: la crisi di insolvenza e la crisi di liquidità. L’insolvenza, nella sua accezione più comunemente utilizzata, può essere definita come l'incapacità di rimborsare i propri debiti. Questo di solito accade appunto per due motivi differenti. In primo luogo (crisi di insolvenza), per qualche ragione legata all’andamento dei “mercati” la banca può ritrovarsi a dovere ai suoi creditori più di ciò che possiede o gli è dovuto dai suoi debitori. Nella terminologia contabile, questo significa che le proprie attività  valgono meno delle passività. In secondo luogo (crisi di liquidità), una banca può diventare insolvente se non riesce più a pagare i propri debiti a scadenza, anche se sulla carta le proprie attività valgono più delle passività. Questo fenomeno è noto come insolvenza da flusso di cassa negativo o mancanza di liquidità.

mercoledì 27 marzo 2013

IL MODELLO CIPRO: UN CASO STUDIO CHE PUO’ ESSERE REPLICATO IN FUTURO


Sono quasi certo che il modello Cipro farà scuola. Fra qualche tempo sui manuali più autorevoli di economia e finanza saranno dedicati interi capitoli sul modo molto inusuale e sbrigativo con cui i ministri delle finanze dell’eurozona hanno risolto la crisi bancaria dell’isola cipriota, stravolgendo in pratica tutto ciò che prima sapevamo e davamo per scontato sulla gestione dei flussi finanziari. L’accordo trovato in extremis domenica notte, salutato con entusiasmo da tutti i mezzi della propaganda come il salvataggio di Cipro, presenta notevoli punti oscuri che avranno sicuramente pesanti ripercussioni in futuro sulla tenuta dell’intera area euro. Innanzitutto perché non si tratta assolutamente di un accordo, ma di un diktat, di un ricatto o meglio, usando la terminologia edulcorata dei tecnocrati europei: un memorandum d’intesa (MoU, Memorandum of Understanding). Il parlamento di Cipro stava infatti lavorando ad una sua proposta di ristrutturazione interna del sistema bancario, che è stata bruscamente ignorata per fare posto alle imposizioni dei tecnocrati. Un eventuale rifiuto del MoU (che in ogni caso deve essere ancora ratificato dal parlamento cipriota) avrebbe comportato il default di Cipro e la successiva uscita dall’eurozona, dato che il governatore della BCE Mario Draghi aveva minacciato di interrompere l’erogazione di liquidità alle banche cipriote prevista dal programma di emergenza ELA (Emergency Liquidity Assistance)


Il MoU come sappiamo è uno strumento obbligatorio e coercitivo associato a tutti gli aiuti forniti dal Meccanismo Europeo di Stabilità: per avere qualsiasi forma di sostegno finanziario, sia al settore pubblico che al settore bancario, il governo del paese in questione deve accettare una serie di condizionalità che possono cambiare da paese a paese, e in base al prestigio e all’importanza strategica della sua economia. A giugno scorso, per esempio, la Spagna ha ottenuto un piano di aiuti da €100 miliardi per ricapitalizzare buona parte delle sue banche fallite, senza controfirmare alcun memorandum d'intesa o garantire ulteriori riforme strutturali. Ma la Spagna non è Cipro e il suo peso specifico all’interno dei palazzi che contano non è di certo paragonabile a quello della piccola isola mediterranea: questo modo di agire sarà sicuramente vincente per la creazione di quello spirito europeo dei popoli (il Sogno!) con cui ci riempiono tanto la testa i tromboni della demagogia europeista. Per un abitante di Cipro sapere che lui è un cittadino europeo di serie B rispetto ad uno spagnolo sarà certamente gratificante, motivo di orgoglio e di vicinanza nei confronti degli altri popoli del continente più disastrato del mondo. In quanto poi a condizionalità imposte da Bruxelles, noi italiani siamo invece i più furbi, perché i nostri precedenti governi (Berlusconi e Monti) le hanno già accettate (ricordate la lettera della BCE dell’agosto del 2011? Non può quella missiva strettamente riservata considerarsi l’antesignana di tutti i successivi MoU?), senza ricevere in cambio alcun sostegno finanziario. Sarebbe troppo umiliante per noi italiani essere accomunati a greci o ciprioti o irlandesi. Altro atteggiamento questo per sentirsi più vicini e solidali nella stessa sorte.

lunedì 25 marzo 2013

UN APPELLO AI MINISTRI DEL PROSSIMO GOVERNO: SALVATE LA COSTITUZIONE ITALIANA!


Mentre si consuma l’ennesimo atto dell’epopea cipriota, con il momentaneo abbandono delle tumultuose note da Cavalcata delle Valchirie e il ritorno ai più pacati e agonizzanti ritmi della tragedia greca (nel senso che Cipro entrerà a buon diritto in quel vicolo cieco da cui non si esce di recessione, disoccupazione, povertà diffusa in cui sono già definitivamente ingabbiate Grecia, Portogallo, Irlanda), in Italia continuano le grandi manovre per la formazione del nuovo governo a guida Bersani. Un nuovo governo che presumibilmente, sulla scorta di ciò che è accaduto con la presidenza della Camera e del Senato, escluderà a priori alcuni nomi impresentabili della politica, per impressionare ed emozionare le folle con i membri più illustri e prestigiosi della società civile. Come se questa copertura posticcia rappresenti indiscutibilmente una garanzia di successo. Tuttavia sappiamo bene che un governo deve essere giudicato per ciò che fa concretamente, per come gioca la sua partita e non per ciò che rappresenta o suscita nella gente. Un po’ come quelle squadre di calcio che vengono assemblate mettendo insieme giocatori famosi e strapagati che sulla carta sembrano fortissime e poi sul campo si rilevano disastrose, disorganizzate, prive di coesione, spirito di gruppo, solidità. Il rischio che l’Italia corre in questo momento, sulla scia del suggestivo reclutamento delle eccellenze, è proprio questo.


Trovo quindi più che opportuno da parte del blog Orizzonte48 giocare di anticipo e tentare di intavolare un dialogo preventivo con i nomi più papabili della lista. In particolare con due emeriti costituzionalisti come Valerio Onida e Gustavo Zagrebelsky. Ottimi professionisti nel loro campo, ma assolutamente privi di quelle chiavi di lettura economiche e finanziarie necessarie per una corretta interpretazione degli eventi dell’attuale crisi europea. O almeno così sembra da ciò che dicono su alcuni temi scottanti come il debito pubblico e la necessità delle politiche di austerità. Se da una parte i noti giuristi difendono a spada tratta i principi inviolabili ed universali contenuti nella nostra Costituzione, dall’altra non capiscono che proprio i vincoli europei e le continue cessioni di sovranità hanno di fatto stralciato gran parte di quei principi. Facendo ripiombare l’Italia in uno di quei periodi di angoscia, asfissia e assenza di libertà descritti tanto bene, in un memorabile discorso, dal nostro più celebre padre costituente Piero Calamandrei: "La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica".
         

mercoledì 20 marzo 2013

MENTRE CIPRO SI RIBELLA, LA SICILIA CERCA UNA VIA DI USCITA DALLA GABBIA DELL’EURO


Se la situazione di Cipro è drammatica a causa della gestione dissennata delle sue banche e delle richieste scandalose proposte dagli organismi europei, la condizione della finanza pubblica della Sicilia, con debiti accumulati per oltre €18 miliardi, non è certamente da meno. Se la Sicilia fosse uno stato completamente autonomo come Cipro sarebbe già sull’orlo del fallimento e alla ricerca disperata di un piano di salvataggio esterno, che provenga dalla Russia, da Cina, dal FMI o dalla stessa Germania. Ma siccome, per fortuna o purtroppo, la Sicilia fa ancora parte l’Italia, sarà quest’ultima che in un modo o nell’altro dovrà assumersi il ruolo di prestatore privilegiato di prima istanza. Tuttavia, come facilmente desumibile da un’analisi più attenta, l’insostenibilità del debito siciliano è dovuta ad una serie innumerevole di concause che rendono davvero difficile trovare il bandolo della matassa: incompetenza e pressappochismo dei suoi amministratori, speculazione bancaria agevolata dall’assenza di interlocutori validi durante le trattative, crisi economica e finanziaria che sbriciolando i redditi ha ridotto le entrate nelle casse della regione, vincoli di pareggio di bilancio, suddivisione opaca degli ambiti di competenza, mancanza di enti di controllo centralizzato derivante dal principio di sussidiarietà imposto dall’Unione Europea. Ma a monte di tutte queste dinamiche intrecciate, resta sempre il problema principale di tutti gli stati che hanno accettato l’euro come unica moneta a corso legale: la perdita della sovranità monetaria.


Se la Sicilia fosse uno stato “sovrano”, monopolista unico della propria moneta, il suo debito sarebbe ancora insostenibile? E’ mai possibile che un ente pubblico si riduca nelle condizioni di non potere più pagare stipendi e pensioni? Stiamo parlando infatti di un debito pubblico regionale inferiore al 25% del PIL, quindi ben al di sotto della soglia mistico-teologica del 60% richiesta dal Patto di Stabilità europeo. Quindi? Qual è il vero problema sottostante? La spada di Damocle che pende sulla Sicilia, come su tutti gli stati che hanno aderito alla scellerata unione monetaria europea, è l’adozione di una “moneta straniera” di cui le autorità pubbliche, emanazioni della volontà popolare, non hanno più alcun controllo. Non solo i governi non possono più determinare la quantità emessa in base al fabbisogno di corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche, ma nemmeno influire sul valore di cambio sui mercati valutari per favorire i normali meccanismi di equilibrio degli scambi commerciali con l’estero. La Sicilia, come tutte le istituzioni pubbliche dell’eurozona, è costretta a naufragare nell’ignoto in balia dei “mercati” e delle decisioni di un manipolo di tecnocrati autarchici asserragliati a Bruxelles e a Francoforte. Eppure, anche per la Sicilia come altrove, esiste una via di uscita per tirarsi fuori dalla gabbia infernale dell’euro.


martedì 19 marzo 2013

I BULLDOZER DI CIPRO STANNO FACENDO TREMARE I CASTELLI DI CARTA DEI TIRANNI EUROIDIOTI


Qualcuno di voi ha per caso un misuratore del panico? Qual è lo strumento che ci può dare un’indicazione affidabile del livello di paura che assale gli esseri umani? Esiste un tale strumento? Ebbene sì, o almeno così pare, dato che gli scellerati tecnocrati e politici euristi pensano di possedere la capacità di controllare le paure umane e in base a questa certezza credono di avere sempre la situazione in pugno. Nei loro atteggiamenti, nella postura, nei sorrisi falsi con cui si rivolgono alle telecamere, gli euristi sono certi di impressionare la gente facendogli credere che loro sono i governanti più saggi, competenti, preparati che questo continente abbia mai avuto. Certo un bravo esperto di fisiognomica guardandoli bene in faccia, i vari Van Rompuy, Barroso, Draghi, Rehn, potrebbe avere qualche dubbio. Se poi si da una rapida lettura ai loro curricula professionali cominciano ad arrivare i primi brividi di paura. Ma senza fare troppe dietrologie, il fatto che dal 2008 ad oggi questi politicanti e tecnocrati di terzo o quarto livello si arrabattino per arginare una crisi finanziaria che altri paesi (ci riferiamo soprattutto a Stati Uniti e Giappone), nel bene e nel male, sono riusciti a tamponare, non depone di certo a loro favore. Ma il peggio della loro cialtroneria, a quanto sembra dalle notizie che provengono da Cipro, deve ancora arrivare. Purtroppo per noi.


Nella notte fra venerdì e sabato scorso infatti i ministri delle finanze dell’eurozona si sono accordati per un piano di aiuti di €10 miliardi da concedere al governo di Cipro per salvare le sue banche ormai sull’orlo del fallimento. In realtà, il governo di Cipro insediato di recente aveva chiesto inizialmente un programma di salvataggio da €17 miliardi, cosa che avrebbe creato qualche malumore soprattutto in Germania tra gli euroscettici che si sono ormai saldamente organizzati in un partito (Alternative fur Deutschland) in vista delle prossime elezioni di settembre. E così su pressione del ministro delle finanze tedesco Schauble si è deciso di limitare il finanziamento del fondo MES a €10 miliardi, con l’appoggio del FMI che ancora deve stabilire quale quota versare (si parla di €1 miliardo circa). Il resto dei soldi necessari a ricapitalizzare le banche fallite verranno invece rastrellati internamente, prelevandoli direttamente dai depositi dei clienti delle banche. Una decisione molto discutibile e inopportuna che oltre a scatenare la rabbia dei cittadini ciprioti, che si sono presentati con i bulldozer davanti l’ingresso delle banche chiuse per ferie, avrà sicuramente delle gravi ripercussioni a livello internazionale. Per la prima volta in Europa ad un bail-out esterno nei confronti di un paese in difficoltà è stato affiancato un bail-in interno fornito dagli stessi abitanti. Ma in Europa ormai ci siamo abituati ad assistere a tante prime volte e non è escluso che la prossima volta gli esattori del Nuovo Sacro Europeo Impero non entreranno con i militari direttamente nelle nostre case per portare via mobili e argenteria.

giovedì 14 marzo 2013

MENTRE L’EUROZONA E’ NEL CAOS L’IRLANDA SI RIPRENDE PARTE DELLA SUA SOVRANITA’


Che l’eurozona sia nel caos ormai è un dato di fatto. La mancanza di un governo centrale capace di prendere decisioni univoche e chiare (e magari anche razionali e comprensibili, che non guasta) si sta facendo sentire proprio adesso che bisogna fare delle scelte e nessuno sa bene chi sia autorizzato a farle. In mezzo a questo putiferio istituzionale l’Irlanda nel silenzio più assoluto dei media (perché parlare di cose importanti, ci sono tante belle scemenze di cui parlare? Gli occhi di Berlusconi, le lacrime di Bersani, le bacchettate di Grillo, l’elezione del papa, insomma per i cialtroni dell’informazione c’è solo l’imbarazzo della scelta), la piccola Irlanda ha fatto una mossa che potrebbe mettere presto in crisi il colosso d’argilla europeo e nessuno sembra avere la capacità di cambiare gli eventi. La Commissione Europea scarica il compito alla BCE e la BCE, a sua volta, per bocca del suo governatore Mario Draghi, passa la patata bollente al Consiglio Direttivo, che a quanto pare sul caso specifico dell’Irlanda dovrà pronunciarsi entro la fine dell’anno. In questo contesto di confusione assoluta, il governo irlandese guidato dal primo ministro Enda Kenny (foto a sinistra) pare sia l’unica istituzione ad avere le idee chiare e abbia deciso di continuare ad andare avanti per la sua strada, in attesa che qualcuno si decida a pronunciarsi chiaramente sul da farsi. "Il risultato odierno è un passo storico sulla strada per la ripresa economica" ha detto trionfante al Parlamento di Dublino Kenny qualche giorno fa "Questa manovra assicura la futura sostenibilità finanziaria dello stato".


Ma cosa ha fatto di così rivoluzionario ed epocale Kenny? Si tratta di un’ennesima bufala o fregatura per i cittadini, oppure questa decisione aiuterà concretamente la ripresa di uno stato a pezzi? Andiamo con ordine perché la posizione attuale dell’Irlanda è molto delicata. Malgrado tutti i plausi pervenuti da ogni parte, da Bruxelles e Berlino in particolare, per il rigore teutonico con cui l’Irlanda ha seguito il suo programma di austerità, fatto principalmente di licenziamenti nel settore pubblico e tasse, la situazione del paese è ancora drammatica, con l’economia che ristagna e la disoccupazione che si attesta intorno al 14%. Senza considerare tutti i massicci movimenti migratori dei giovani ragazzi irlandesi verso l’Australia, soprattutto. Una catastrofe sociale che come i meglio informati sanno non è dovuta affatto all’eccesso di debito pubblico, agli sprechi o alla corruzione della classe politica, ma alle sciagurate gestioni fallimentari di un ristretto manipolo di banchieri privati, appoggiati e spalleggiati ovviamente dai politici locali, che nel giro di pochi anni sono riusciti a sommergere di debiti l’intero paese. Chi ancora ha dei dubbi su come si sia sviluppata e quale sia la vera origine della crisi finanziaria che attanaglia oggi l’eurozona, dovrebbe studiare meglio il caso dell’Irlanda che è sicuramente il più emblematico di tutti. E con qualche piccola variante, dovuta alla minore o maggiore compartecipazione del settore pubblico, applicarlo poi agli altri paesi PIIGS. Italia compresa. 

martedì 12 marzo 2013

DALLA GENERAZIONE X ALLA GENERAZIONE PERDUTA PASSANDO PER IL VINCOLO ESTERO


Ricordo che quando ero ragazzo, nei primi anni novanta, la mia generazione veniva spesso etichettata come Generazione X: una definizione molto vaga, che lasciava intendere qualcosa di misterioso, ignoto, inafferrabile. Non vi nascondo che a quel tempo una tale marchiatura non mi dispiaceva affatto, perché si conciliava perfettamente con il mito della fuga e della libertà che anima i giovani: mentre voi adulti siete delle monotone costanti, noi giovani rappresentiamo un’incognita che può spaziare liberamente in tutto il campo del reale e dell’immaginario. Era bello essere un membro della Generazione X. Oggi che i capelli, quando ci sono, cominciano a diventare brizzolati, penso di avere capito quale fosse il significato di quella incognita. A nostra insaputa, noi ragazzi nati a cavallo fra gli anni settanta e ottanta eravamo il frutto di un esperimento sociologico-economico-finanziario. Eravamo i primi cittadini del dopoguerra che non avrebbero mai più avuto uno Stato democratico alle loro spalle, dei diritti costituzionali a cui aggrapparsi, ma semplici merci di scambio lasciate in balia dei mercati a contendersi un posto nel mondo in perfetta concorrenza con tutti gli altri giovani della terra, a qualunque latitudine si trovassero, a qualsiasi prezzo e condizione. Una concorrenza sempre al ribasso ovviamente, per la gioia della generazione dominante dei nostri padri e dei nostri nonni che era lì pronta a sfruttarci e a vivere di rendita sulle nostre sofferenze, i nostri sacrifici, le rinunce, la fatica.


Era il tempo del miraggio della Globalizzazione Economica Universale, presentata da tutta la propaganda e dai tromboni prezzolati della pseudo-cultura di sinistra, come il massimo approdo per la convivenza pacifica e civile fra i popoli. Eppure proprio in quegli anni scoppiavano guerre in ogni parte del mondo e ai più accorti di noi la globalizzazione cominciò a sembrare l’ennesima pagliacciata per coprire i misfatti della solita classe egemone politica-finanziaria. Non eravamo andati troppo lontano dalla verità. Quando crollarono le Torri Gemelle nel 2001 la Generazione X cominciò ad avere il primo scossone dal torpore e molti di noi iniziarono a sperimentare sulla loro pelle cosa significano in realtà parole un po’ astruse come flessibilità, privatizzazione, liberalizzazione dei prezzi, degli scambi, dei salari, mercato unico mondiale, deregolamentazione selvaggia della finanza. Quello che era un sospetto cominciò a diventare una certezza: la definizione con cui ci avevano marchiato non nascondeva nulla di intrigante o misterioso, ma era la semplice stringa di un’equazione ad una variabile. Un’equazione che ormai è stata risolta per sempre. O quasi.

domenica 3 marzo 2013

IL DILEMMA DELLA SPESA PUBBLICA: FA BENE O FA MALE? E’ IL PROBLEMA O LA SOLUZIONE?


Non dico di essermi pentito di aver votato il Movimento 5 Stelle, perché è ancora prematuro emettere giudizi definitivi, ma quasi. Se dovessi dar credito a tutte le voci che si sentono in giro, dalle bizzarre idee di presunti economisti o esperti affiliati al movimento di Beppe Grillo fino alle dichiarazioni un po’ confuse e contraddittorie dei neo-deputati del M5S, non c’è proprio da star tranquilli. Si va dalla solita solfa dei tagli alla spesa pubblica che fanno bene all’economia (per quale ragione non si sa, ma i dogmi e gli atti di fede sono affascinanti anche per questo motivo), al ritornello che l’uscita dall’euro costerebbe agli italiani un 30% di perdita di ricchezza finanziaria da un giorno all’altro (senza però mai menzionare quanto è costato e quanto costa oggi la permanenza nell’euro, anche in termini di vite umane), fino alla sana decrescita economica che fa tanto ambientalismo ecumenico da parrocchia (vallo a dire a un giovane disoccupato che non ha nulla o un imprenditore in procinto di fallimento che la decrescita del reddito nazionale fa bene anche lui, senza beccarti un ceffone in faccia!). Insomma ci sarebbero tanti motivi per maledire il voto espresso nel segreto della cabina elettorale.


Tuttavia c’è un breve dispaccio che proviene direttamente dal direttorio del blog di Beppe Grillo che mi rassicura: “Leggo e ascolto con stupore presunti "esperti" discutere di economia, di finanza o di lavoro a nome del M5S. Queste persone sono ovviamente libere di farlo, ma solo a titolo personale. I contributi sono sempre bene accetti, ma non l'utilizzo del M5S per promuovere sé stessi. Il M5S dispone di un programma che sarà sviluppato on line nel tempo da tutti i suoi iscritti. La piattaforma, uno spazio dove ognuno veramente conterà uno, è in fase di sviluppo dopo il rallentamento dovuto all'anticipo delle elezioni.” Forse non tutto è perduto. I cervelli pensanti del M5S hanno capito che bisogna mettere un freno a questi fenomeni da baraccone in cerca di celebrità pronti a saltare sul carro del vincitore portando in dote una vagonata di idiozie che mette i brividi. Dobbiamo dunque avere ancora un po’ di fiducia in Grillo e nei suoi ragazzi, aiutandoli e sostenendoli a dipanare il bandolo della matassa, che è già abbastanza ingarbugliato di suo, utilizzando i dati, i fatti, i ragionamenti più semplici e immediati da spiegare. I giovani aspiranti statisti del M5S sono e rimangono ancora, a mio avviso, la nostra ultima speranza per uscire dal guado, a patto però che anche loro si liberino dai legacci mentali e dalle paludi logiche in cui sembrano profondamente impantanati. Il loro essere giovani, onesti, puliti, simpatici, non li giustifica dalla stupidità e dalla mancanza di volontà di capire. Anzi, è un’aggravante, perché i giovani in genere dovrebbero avere meno sovrastrutture e barriere ideologiche (o solamente psicologiche e di puro calcolo e convenienza) ed essere più aperti al ragionamento attivo.